giovedì 19 febbraio 2009

Veltroni: Solo, nel giorno dell'addio al suo "partito di ghiaccio"


di Roberta Lerici


Se i grandi progetti hanno bisogno di tempo, come dice Veltroni nel suo ultimo discorso il giorno dell'addio, è anche vero che è difficile fare tanti errori in soli 16 mesi. Ma quello che, a mio avviso, è stato l'errore di base del PD di Veltroni, è il fatto di non aver mai rappresentato coloro che lo avevano votato, coloro per cui era nato. Non è stato un partito "liquido", il PD di Veltroni, è stato un partito di ghiaccio, senz'anima e pronto a dissolversi in poco tempo . Sono le passioni che rendono un progetto politico aggregante e vincente, ma come si fa ad appasionarsi ad un loft? E come si fa a pensare che il tuo destino di cittadino venga discusso da pochi eletti davanti a un caminetto? E come puoi credere che qualcuno stia lottando per te, se alle elezioni impone la candidatura di personaggi inutili come le ragazze che hanno preso il posto di tante persone di valore? E come si può stare all'opposizione senza fare opposizione?

E come si può non partecipare e, anzi, criticare manifestazioni come quella di luglio a Piazza Navona, dove gli elettori del PD sono arrivati lo stesso, anche se il "partito non aderiva"? In quante piazze il PD ha lasciato soli i suoi elettori? Se abbia deciso lui di non partecipare o lo abbiano costretto, lo sa solo Veltroni. Quello che è certo, è che la gente del PD dava l'impressione di qualcuno che aveva scelto una casa siglando un regolare contratto di affitto, e dopo un mese si era trovato sfrattato, in mezzo alla strada.

Sono stata a raccogliere le firme contro il Lodo Alfano, e ricordo che quando venivano a firmare elettori del PD, erano furenti con Veltroni. Non capivano cosa volesse far diventare il PD, non si riconoscevano nelle sue scelte. E allora, se nel suo discorso Veltroni dice"Sogno un partito che si chieda non da dove si viene ma dove si va. Un partito che abbandoni una certa sinistra giustizialista, salottiera e conservatrice. ", lui descrive esattamente il suo PD (a parte il "salottiera", perchè lui il salotto lo ha fatto nel loft).

Se questo era il partito dei suoi sogni, lui lo ha realizzato. Il problema è che non è piaciuto affatto agli elettori.

Ecco l'articolo sul suo discorso:


L'ex segretario democratico: "Un grande progetto ha bisogno di tempo"
"Non giudicate il mio successore con l'orologio in mano". In sala Franceschini e Bersani
L'addio di Veltroni: "E' colpa mia Vado via, ma non tornate indietro" fine
I ringraziamenti allo staff, alla scorta a cui ha rinunciato ma non al gruppo dirigente

di MATTEO TONELLI


L'addio di Veltroni: "E' colpa mia Vado via, ma non tornate indietro"

Walter Veltroni

ROMA - E' la solitudine di un leader quella che salta agli occhi. Quello che doveva fare il Pd e che invece ha visto il Pd fare a meno di lui. Adesso che tutto è finito, che la poltrona da segretario è un ricordo, adesso Walter Veltroni può scrivere il suo "testamento" politico tra le colonne del Teatro di Pietra che l'avevano visto trionfatore alle primarie. Lo fa con garbo, con il consueto modo "caldo" di parlare di politica. Mandando alcuni precisi segnali. Al gruppo dirigente, anzitutto. Ma anche al popolo del Pd, quello del Circo Massimo e delle primarie.

"Il Pd è il sogno della mia vita ma non sono riuscito a farlo avanzare, mi scuso e per questo lascio" è l'inizio del monologo. Veltroni dunque lascia. Dice addio a quella poltrona di segretario che, in sedici mesi, gli ha regalato qualche gioia e molti dolori. Dice addio ringraziando lo staff, la scorta (che ha chiesto gli venga tolta), Dario Franceschini. E non citando gran parte del gruppo dirigente democratico.

Per il suo ultimo atto da segretario Veltroni sceglie il Teatro di Pietra. Una decisione non casuale. Tra quelle stesse colonne celebrò il trionfo delle primarie. Sembrano passati secoli. Oggi dice: "Il Pd è stato il sogno politico della mia vita, lascio in serenità senza sbattere la porta, adesso cerchero di dare una mano al partito". In sala Soro si asciuga le lacrime, Fassino e la Finocchiaro sono terrei. Achille Serra gli chiede di ripensarci. Bersani, cappotto in mano, è immobile. Rutelli non c'è. D'Alema nemmeno. Dicono che non abbia neanche telefonato.

Veltroni parla per circa 40 minuti. Cita Romano Prodi e l'Ulivo, la vittoria del '96 e quel sogno interrotto. Parla del "sogno", il suo sogno, di cambiare l'Italia. "Per questo è nato il Pd, per diventare il partito del destino del nostro Paese". Cambiamento, certo. In questo sta "la vocazione maggioritaria" del Pd e non nell'essere un semplice vinavil, un mero collante. Riformismo, ci mancherebbe. Quello che serve per cambiare un sistema di valori che Berlusconi "ha sostituiti con i disvalori". Lavorare a testa bassa, conquistando casamatta dopo casamatta, dice Veltroni, citando Gramsci. Ma per farlo serve "pazienza e fiducia". Serve, continua Veltroni, un partito che non trituri il leader dopo ogni sconfitta: "Non accade da nessuna parte una cosa del genere, da noi è la regola" scandisce. E si capisce che parla di lui. Della sua solitudine. Di un gruppo dirigente da cui, in larga parte, non si è sentito appoggiato. Il suo Pd, invece, l'ex segretario l'ha visto più volte: al Lingotto, a Spello, in campagna elettorale, alla scuola di Cortona e al Circo Massimo. E durante le primarie. E anche nelle divisioni interne. Quelle chiare, però. "Abituiamoci al fatto che un grande partito non può essere una caserma - dice tra gli applausi - I partiti moderni sono così, ma alcuni di noi hanno l'imprinting dei partiti degli anni '70. Sogno un partito che si chieda non da dove si viene ma dove si va. Un partito che abbandoni una certa sinistra giustizialista, salottiera e conservatrice. Un partito che abbia dirigenti che facciano propria un'identità che gli elettori già hanno". Un partito democratico, insomma. Come quello che si era materializzato tra le bandiere del Circo Massimo.

Il futuro, dunque. Quello che vedrà Veltroni in una posizione "riservata". Quello che avrà bisogno di "più solidarietà". Quella, si capisce, che Veltroni non ha sentito. Coperta da manovre di corridoio e veleni gettati ad arte. Eppoi le sconfitte. E i processi interni che si aprivano un minuto dopo. Sul banco degli imputati, sempre e solo il segretario.

E adesso che se ne va Veltroni chiede per chi lo sostituirà quello che lui non ha avuto: "Non chiedetegli di ottenere risultati con l'orologio in mano, gli sia concesso quello che non è stato concesso a me, il tempo. Perché per grande progetto riformista servono più di 16 mesi". Veltroni si avvia a concludere. Ripone i fogli in tasca, guarda Franceschini ("un amico leale") e conclude:"Non bisogna tornare indietro, oggi ci sono le condizioni perché questo partito possa farcela, amatelo di più, state uniti". Lavorando casamatta per casamatta. Ma il compito toccherà ad altri. Lui, Walter, il suo "sogno" continuerà ad accarezzarlo. Ma, par di capire, da lontano.

(La Repubblica 18 febbraio 2009)

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